“Pagare le tasse è bello” (cit.). Vero, ma non in Italia

Da poco più di un anno, parallelamente all’attività professionale che svolgo in Italia, sono socio e amministratore di una società di diritto inglese.

Qualche giorno fa, dall’ufficio di Londra mi hanno avvisato di aver ricevuto una “statutory mail” dall’HM Revenue & Customs, più o meno l’equivalente di Sua Maestà dell’Agenzia delle Entrate italiana.

Panico.

Come tutte le volte in cui, in questi 6 anni e rotti di partita IVA italiana, ho ricevuto una lettera dall’Amministrazione finanziaria, ho iniziato a provare attacchi di ansia, crisi d’asma, eruzioni cutanee, … Già temevo che l’HMRC mi comunicasse che, il 31 maggio scorso, quando si è chiuso l’anno fiscale inglese, avessi commesso qualche errore formale nella compilazione di qualche modulo, avendo provveduto a questi adempimenti senza avvalermi di un commercialista (perché, in Inghilterra, per pagare le tasse è sufficiente saper leggere, scrivere e far di conto).
Già mi vedevo in un tribunale inglese, di fronte ad un anziano giudice con indosso una di quelle graziose parrucche bianche (le “shorter barrister wigs”) che, dopo aver “overruled” tutte le “Objection, Your Honor!” del mio avvocato, mi condannava a qualche settimana di reclusione nelle regie galere oppure a qualche punizione corporale, con tanto di colpo di martelletto dall’alto del suo scranno.

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Invece… invece l’ufficio “Local Compliance” mi scrive:
1) che sono stati compiuti dei controlli formali sulle mie dichiarazioni presentate il 31 maggio e che è tutto ok
2) che hanno registrato il corretto pagamento di quanto dovuto al Fisco inglese
3) che il prossimo controllo è programmato alla fine dell’anno fiscale 2017/2018
4) che, anche prima di quella data, l’Amministrazione potrà comunque effettuare altri controlli
5) che, se fossi “uncertain whether a change of circumstances has tax implications”, posso rivolgermi all’ufficio (presentandomi di persona previo appuntamento, oppure spedendo una lettera, oppure mandando un fax, oppure inviando una e-mail; tutti i recapiti sono sull’intestazione della lettera)
6) che ai recapiti sopra indicati posso rivolgermi in qualunque momento per ogni informazione relativa alla Corporate Tax.

In calce alla nota, è scritto che – mandando un sms – posso ricevere la stessa comunicazione stampata in caratteri più grandi, oppure registrata in file audio oppure scritta in Braille.

Nel 2007, l’allora ministro Padoa-Schioppa disse che “le tasse sono una cosa bellissima e civilissima”. Ecco, oggi ho scoperto che aveva ragione. Ma, evidentemente, non si riferiva all’Italia.

Adam Pacitti fa marketing di se stesso. Per trovare un lavoro

Si chiama Adam Pacitti, ha 24 anni ed è dell’Isola di Wight, nel sud dell’Inghilterra.

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Laureato in Media Production all’Università di Winchester, è alla ricerca di un lavoro. Dopo aver inviato più di 250 curricula, ha deciso di fare l’ultimo investimento possibile per le sue finanze. Mettendo a frutto le sue competenze (e sicuramente la sua passione) si è autopromosso a Londra, comperando – per 500 sterline – un cartellone pubblicitario. Con la sua foto e la frase “Ho speso le mie ultime 500 sterline per questo cartellone. Per favore, datemi un lavoro”. Nonché, chiaramente il link del suo sito, nel quale Adam ha caricato un brillante video-cv:

In una settimana, il video è stato visualizzato più di 56mila volte ed ha ricevuto più di 600 commenti.

Non so se Adam abbia già trovato un impiego. Ma sono convinto che ce la farà.

Consorzio Sam: quando la burocrazia può uccidere l’economia

Consorzio Sam: quando la burocrazia può uccidere l'economiaIl consorzio Sam (Società aerospaziale mediterranea) opera, in Campania, nel settore aerospaziale. Dal 2004, raggruppa 15 aziende e nel 2006 vince un bando per ottenere 16,3 milioni di euro dall’Unione europea. Il Ministero impiega quattro anni per dare il suo ok all’erogazione che, ad ogni modo, arriva nel 2010. Nel frattempo, in ossequio a quanto disposto dal bando, Sam ha messo mano al portafoglio, investendo di tasca propria più di 46 milioni di euro.

Ma dall’agosto 2010… silenzio! La Regione Campania non solo non ha ancora aperto i rubinetti (in questo modo bloccando anche la quota di finanziamento che deve essere corrisposta attraverso le casse del Mise) ma ha ben pensato, nel frattempo, di aprire un nuovo bando. A settembre di quest’anno, infatti, la Regione ha fatto partire un nuovo contratto di programma per l’aerospazio, sul quale ha appostato un finanziamento da 75 milioni, prevedendo l’esclusione delle aziende ancora alle prese con la vecchia procedura.

E mentre Bruxelles minaccia di revocare quei 16 milioni perché “non spesi”, il consorzio Sam ha fatto ricorso al Tar perché sospenda ed annulli il nuovo contratto di programma.

Risultato? La burocrazia campana (e forse quante interesse nascosto) ha scontato tutti: l’Unione europea, il Governo italiano, il consorzio Sam e tutte le imprese che intendono partecipare al secondo contratto. Con buona pace della “crescita dell’economia” che tutti, da destra a sinistra, reclamano e considerano prioritaria.

In Italia la Chiesa cattolica batte, senza appello, la ricerca scientifica

In Italia la Chiesa cattolica batte, senza appello, la ricerca scientificaTempo fa mia mamma mi ha detto che è nostro dovere amare l’Italia, nonostante i suoi difetti, a ragione della sua storia, della sua cultura, della memoria di coloro che sono morti per crearla e renderla democratica. Ho imparato che quando dice qualcosa ha (quasi sempre!) ragione. Così ogni giorno mi sforzo di fare in modo di non provare disaffezione verso la Nazione. In alcune occasioni, però, la fatica si fa insopportabile.

Mi capita, ad esempio, quando scopro che l’IMU ha colpito duramente istituzioni meritorie, che danno lustro all’Italia nel campo della ricerca scientifica: l’Istituto Mario Negri, faro nella ricerca biomedica, guidato da Silvio Garattini, ha dovuto versare 360mila euro (pur vantando un credito IVA di 10 milioni); la Fondazione Città della Speranza, che fa ricerca sulle leucemie infantili, ha pagato quasi 90mila euro di imposta; 30mila euro sono stati invece pagati dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro; più di 36mila dall’Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo. Soldi, questi come altri versati da istituti di ricerca ed enti no-profit, che certamente potevano essere utilizzati meglio che per risanare anni di mala gestio della Cosa pubblica.

E intanto i nostri ricercatori sempre più spesso prendono il passaporto e vanno a lavorare altrove, in Europa o nel mondo.

Ora, io mi sforzo di amare l’Italia ma qualcuno mi deve spiegare perché gli immobili degli enti di ricerca (che, dunque, lavorano per ciascuno di noi, indistintamente) devono avere minore dignità rispetto agli immobili della Chiesa cattolica (che – mi si perdoni – servono per radunare sotto uno stesso tetto alcuni fedeli, che vogliono raccogliersi in preghiera).

Io sono convinto che gli stabili adibiti ad attività di carattere non economico della Chiesa siano diversi rispetto a quelli in cui si fa ricerca scientifica. Ma non certo nel senso che i primi debbano godere di un trattamento fiscale migliore rispetto a quello imposto ai secondi. Mi sembrerebbe assai più equo che accadesse l’esatto contrario.

Tanto più che la Chiesa fa ben poco per farsi voler bene e appare sempre più lontana dai cittadini italiani. Anche se mi sembra di sparare sulla Croce Rossa, non posso non ricordare, in ordine sparso, alcune esternazioni provenienti da esponenti (piccoli o grandi) del clero cattolico e alcuni episodi recenti che lo hanno visto protagonista. Li riporto così come mi vengono in mente, in ordine sparso, certo di tralasciarne una grande quantità.

Mi vengono così in mente le dichiarazioni del frate francescano Benedict Groeschel, il quale, parlando di abusi compiuti da uomini di Chiesa a danno di minori, ha affermato che

Spesso accade che sia il bambino a sedurre il prete e non viceversa. Mettiamo il caso di un uomo in preda a un serio esaurimento nervoso e di un giovane che gli si avvicini. In molti casi è proprio quest’ultimo a sedurre il sacerdote. Non penso che i preti coinvolti in simili episodi debbano andare in galera perché non avevano intenzione di commettere alcun crimine.

Anche monsignor Odo Fusi Pecci, vescovo di Senigallia (AN) ha voluto dire la sua, questa volta intervenendo sulle relazioni omosessuali, che sono

contrarie al piano di Dio, in quanto sono in contrasto con quanto Dio ha deciso e chiaramente detto [e] contrastanti con le Verità e dunque con giustizia e pace.

Pertanto le leggi che intendono dare riconoscimento giuridico a questi rapporti

sono in contrasto con la legge di Dio e la stessa legge naturale e legalizzano delle vere e grandi immoralità. Queste unioni sono una offesa grave a Dio, alla umanità e in sintesi non è sbagliato affermare che queste rivendicazioni gay siano manifestazioni del demonio per portare disordine e divisione nella nostra società.

Coloro che sostengono il contrario, secondo il vescovo

sono oltre che viziosi, anche arroganti, fuori della comunione della Chiesa, salvo che si convertano. Io una persona del genere non la vorrei in Chiesa, salvo che si sia convertita.

Il tema è, comunque, molto caro a numerosi porporati. Tra i prelati italiani, non si possono dimenticare monsignor Ennio Appignanesi, vescovo emerito di Potenza:

Il gay è un vizioso immorale, perché gay si diventa per vizio, per una visione sbagliata ed edonistica della vita. È una scelta a dir poco ripugnante. Noi non abbiamo i Carabinieri o la Polizia, predichiamo castità, sanità di costumi, ma se uno vuole andare contro, libero: ne risponderà davanti al Signore e ricordo che San Paolo, e non solo, ha detto che coloro i quali si saranno comportati in tal modo sono lontani da Dio, si mettono contro Dio. Non dimentichiamo, poi, che tanti gay sono causa di disturbi ancora più luridi, come la pedofilia

e monsignor Rocco Talucci, arcivescovo di Brindisi-Ostuni, secondo cui

[L’omosessualità è] un disordine grave. Questo non deve mai comportare da parte dei pastori atteggiamenti discriminatori, ma bisogna essere delicati e misericordiosi, ricordando che da questo disturbo è sempre pensabile la conversione o la guarigione. Nel caso non si potesse, sarebbe auspicabile e moralmente etico praticare la castità. Io come Vescovo, ma qualsiasi uomo di Chiesa, non deve essere lassista e valutare questo gravissimo peccato che dà scandalo con la giusta severità. Lo ripeto, la tendenza omosessuale va trattata con misericordia, quella ostentata e rivendicata come fosse normalità o diritto, mai. La comunione non può essere amministrata a coloro che sono in peccato grave e meno ancora a pubblici peccatori. Dunque la comunione non è amministrabile ad omosessuali ben noti e di cui si conoscono gli atteggiamenti di aperta apologia.

È notizia di poco più di un mese fa l’arresto di don Alberto Barin, cappellano del carcere di San Vittore, che barattava – questa l’ipotesi accusatoria – con alcuni detenuti (per lo più africani, di età compresa tra 22 e 28 anni) shampoo e sigarette per rapporti sessuali. La Procura di Milano gli ha contestato i reati di violenza sessuale e concussione.

Recentissimo è stato il caso di don Piero Corsi, parroco di un paese dello spezzino, che ha illuminato i suoi fedeli circa le “vere” cause del femminicidio, riportandole in un volantino affisso nella bacheca della sua chiesa. Nel testo, tra le altre cose, si legge:

Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni. Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici. Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (forma di violenza da condannare e punire con fermezza) spesso le responsabilità sono condivise. Quante volte vediamo ragazze e signore mature circolare per strada con vestiti provocanti e succinti? Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre e nei cinema? Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e poi si arriva alla violenza o abuso sessuale (lo ribadiamo: roba da mascalzoni). Facciano un sano esame di coscienza: forse questo ce lo siamo cercate anche noi?”.

Poi merita, ancora, una menzione don Gianfranco Rolfi, bresciano ma oggi parroco a Firenze, che quest’anno ha allestito un presepe decisamente sui generis, sul quale campeggia la citazione di Voltaire “Schiaccia l’Infame”, che il filosofo riferiva alla Chiesa e che oggi don Rolfi rivolge a relativisti e materialisti, le cui foto sono appese sotto la scritta: si va da Mao a Stalin, da Hitler a Corrado Augias, da Vito Mancuso a Piergiorgio Odifreddi a Margherita Hack. Una nota di colore è data da due altre foto: una ritrae aerei da guerra e l’altra quello che è stato il World Trade Center di New York.

In vista dell’oramai imminente Giornata mondiale della pace, il Papa ha bollato nel suo messaggio eutanasia, aborto e matrimoni gay come “attentati e delitti contro la vita”. I matrimoni gay, secondo Ratzinger, non solo sono “un’offesa contro la verità della persona umana” e “una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace” ma addirittura “contribuiscono alla destabilizzazione [del matrimonio tra uomo e donna], oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale”.

Nello stesso giorno in cui il testo del messaggio veniva diffuso agli organi di informazione, il Pontefice incontrava (e impartiva la sua benedizione a) Rebecca Kadaga, speaker del Parlamento ugandese, strenua sostenitrice di una legge che criminalizza l’omosessualità, prevedendo la punizione per chi ne è “responsabile” con l’ergastolo e la pena di morte.

Sempre quest’estate è stato tradotto al carcere siciliano dell’Ucciardone un sacerdote 41enne di Sciacca (AG). Secondo la Polizia, avrebbe pagato un minorenne perché gli offrisse alcune prestazioni sessuali (da 50 a 300 euro per ciascun incontro), promettendogli peraltro la possibilità di partecipare, come concorrente, alla trasmissione “Amici” di Maria De Filippi.

L’elenco, si sa, potrebbe ancora essere lunghissimo. Lo risparmio ai tre lettori di questo blog, e per certi versi lo risparmio anche a me stesso.

Resta il fatto che è difficile amare un Paese in cui chi fa ricerca scientifica deve pagare un’imposta dalla quale, in grandissima misura, la Chiesa, questa Chiesa, è esentata; lo stesso Paese in cui – per dirla con Gian Antonio Stella – “chi dà soldi ai partiti ha sconti fiscali 51 volte più alti di chi fa una donazione al non profit”.

Questo Belpaese
pieno di poesia
ha tante pretese
ma nel nostro mondo occidentale
è la periferia

(Giorgio Gaber, “Io non mi sento italiano”)

Aggiornamento. Sulla (triste) vicenda di don Corsi, di cui si è detto sopra, ha pensato bene di dire la sua (ancora) il già citato monsignor Odo Fusi Pecci, vescovo emerito di Senigallia (AN). In un’intervista rilasciata a Pontifex (il “quotidiano online di apologetica cattolica e fede”) ha dichiarato:

La violenza va eliminata e non è mai giustificabile contro nessuno, tanto meno verso le donne. Chi ricorre alla violenza, va contro Dio. Tuttavia, alcune volte, le donne provocano, vestono e si atteggiano con scarsa dignità e poca attenzione alla moralità, su questo punto, condivido le teorie di don Corsi, che poi è quello che ha detto e che richiama anche al concetto di corresponsabilità nello scandalo.

Italo – Nuovo Trasporto Viaggiatori. I primi passi, tra luci e ombre, dell’alta velocità privata

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Ho viaggiato alcune volte a bordo dei treni Italo, di Ntv. Devo dire che l’esperienza è stata davvero piacevole.

In quanto prima concorrente di Ferrovie dello Stato, ho avuto la curiosità di scoprirne di più.

Allora, i convogli hanno scritto “Italo” sulle fiancate ma sono fabbricati in Francia, negli stabilimenti della Alstom. I primi treni dovevano iniziare a circolare alla fine del 2011 ma in realtà li abbiamo visti sfrecciare solo il 28 aprile 2012.

Il treno veloce, insomma, è partito in ritardo. E la “Nuovo Trasporto Viaggiatori spa” di Montezemolo, Della Valle e Punzo non ha avuto ricavi dal 2008 al 2010, accumulando una perdita di 40 milioni di euro. Per molti sarebbe stata un’ecatombe. Non per la Ntv. Perché?

La società è costituita nel dicembre del 2006. Tra i soci (ma di nettissima minoranza), anche Giuseppe Sciarrone, già dirigente Fiat e già dirigente Fs, quindi direi l’unico che ci capisce qualcosa di treni. Pochi mesi dopo, chiede al Ministero dei Trasporti la licenza ferroviaria, che arriva dopo due mesi. Sì: due mesi. Un record. Si potrebbe gridare al miracolo.

Ma il tempo sbalorditivo per l’autorizzazione governativa è poca cosa rispetto a quanto accade nel luglio 2007: il giorno 28, il Ministro Alessandro Bianchi, autorizza l’accesso di Ntv all’alta velocità. Che c’è di strano? Che a luglio 2007, Ntv non solo non ha neanche un treno ma non ha neanche pagato un euro: in assenza di gare o bandi pubblici per attrarre altri partecipanti, il Governo concede l’accesso in cambio del pagamento di un canone, un po’ come il pedaggio in autostrada per noi comuni mortali.

Ma rimaniamo sui numeri. “Abbiamo investito un miliardo”, dichiara Cordero di Montezemolo. E da dove arriva questo miliardo? Non ci crederai, ma non dalle tasche dei soci.

Vediamo perché.

Montezemolo, Della Valle, Punzo e Sciarrone fanno leva sull’incremento di valore derivante dall’autorizzazione del 2007. Poi fanno entrare altri azionisti e il valore della spa aumenta ancora. Nel giugno 2008, infatti, nella cordata per il nuovo miracolo italiano entra anche Banca Intesa: Corrado Passera (all’epoca alla guida dell’istituto) compera il 20% di Ntv, pagandolo 60 milioni.

Nell’affare entra poi anche Sncf (cioè le ferrovie francesi). Decidendo di chiudere un occhio su possibili conflitti di interesse (Sncf è, infatti, socia di Grandi Stazioni, cioè di Ferrovie dello Stato, quelle italiane), il 23 ottobre 2008, Sncf prende un 20% di Ntv, pagandolo 84 milioni.

Poi è la volta di Alberto Bombassei (quello che vende i freni a Montezemolo), delle Assicurazioni Generali e di Isabella Seragnoli, matrona dell’imprenditoria bolognese.

Ogni volta, i soci fondatori cedono ai nuovi entranti quote societarie, con diritti di opzione per l’aumento di capitale. Così rimangono titolari di appena il 33,5% delle quote.

Sarà loro dispiaciuto? Neanche per sogno. Perché i loro profitti, dal 2007 ad oggi, assommano già a circa 25 milioni di euro (al netto delle imposte). Praticamente quello che i tre “big” hanno investito nel progetto: le società Mdp Holding Uno, Mdp Holding Due e Mdp Holding Tre (nelle quali Montezemolo, Della Valle e Punzo hanno quote paritetiche) hanno infatti versato circa 25 milioni di euro nel capitale sociale di Ntv. In altre parole, e fuori dai tecnicismi, i tre ci hanno già fatto pari.

Quando Ntv vale 375 milioni di euro, un terzo della società appartiene ai tre moschettieri dell’alta velocità privata: la loro quota vale 120 milioni di euro. Questo non oggi ma prima ancora che un capotreno (pardon: un “train manager”) di Italo licenziasse il primo convoglio. Non è da tutti investire 25 milioni in un progetto e averne in mano 120 prima ancora che il progetto sia visibile al mercato.

Ah! Le quote dei tre non sono proprio dei tre ma delle banche finanziatrici (Bnl, Intesa, MPS ed altre), a garanzia dei crediti concessi per gli investimenti. Sì, perché il famoso miliardo di cui ha parlato Montezemolo è per il 70% preso a prestito.

Ah! Da ultimo, i treni (cioè: le motrici e i vagoni) non sono di Ntv: la Leasint (società del gruppo Intesa) glieli ha concessi in leasing.

Insomma: in conclusione, i soci di Ntv hanno versato 264 milioni. Di questi, il 92% è stato conferito da Sncf, Intesa, Generali, Bombassei e Seragnoli. Le società personali di Montezemolo, Della Valle e Punzo hanno versato una 20na di milioni. Ma li hanno già recuperati.

Quando Sanremo era Sanremo aveva un senso. Ma oggi?

Quando Sanremo era Sanremo aveva un senso. Ma oggi?Ieri ho guardato la prima serata del Festival di Sanremo. Ho fatto non poca fatica ad arrivare fino alla fine, circostanza che è stata resa possibile solo dal fatto che seguito la manifestazione attraverso Twitter: leggere i commenti scritti dal “popolo del cinquettio” è stato l‘unico modo per rendere sopportabile lo strazio andato in onda su Rai1.

Non voglio scrivere un post di critica semi-professionale sulla manifestazione. Altri, molto meglio di quanto io potrei mai fare, hanno già detto la loro. Voglio, piuttosto, limitarmi ad alcuni “pensieri sparsi”.

Il primo. Ieri si sono esibiti 12 cantanti. Direi che, a spanne, l’esecuzione dei loro pezzi avrà richiesto meno di 55 minuti. Lo spettacolo è durato circa 4 ore. In sostanza, al “Festival della canzone italiana”, la canzone ha occupato qualcosa come il 20% del tempo. Il resto è stato occupato da gag di dubbio gusto, dall’attesissimo (e pagatissimo) monologo di Celentano, dalla pubblicità e non so da cos’altro. I cantanti e la loro musica sono parsi più una spalla che i protagonisti, inseriti in un programma il cui senso mi è comunque sfuggito.

Il secondo. Celentano – oggetto di una grande campagna mediatica nelle settimane precedenti l’inizio del Festival – ha fatto un monologo-fiume, introdotto da una lunga “sigla” con immagini di guerra e di distruzione che, francamente, almeno a Sanremo avremmo tutti voluto evitare. Poi ha iniziato a sparare contro la Chiesa (che già ieri sera si è fatta sentire), contro Aldo Grasso (che oggi gli ha risposto), contro la Corte Costituzionale, contro la Rai e contro non ricordo più chi altro.

La Chiesa, ci ha detto il Nostro, non parla più del Paradiso e, per questo, “Avvenire” e “Famiglia cristiana” dovrebbero essere chiusi. Io non so se i predicatori cattolici parlino o meno del Paradiso, so però che molti di loro hanno capacità oratorie assai migliori rispetto a quelle dimostrate ieri da Celentano. E non vedo un solo motivo per il quale sia legittimo chiedere la chiusura delle due testate cattoliche che – a meno che non godano di contributi pubblici – restano sul mercato perché vendono copie e spazi pubblicitari. Sono ben altri i giornali che meriterebbero di essere chiusi. In ogni caso, il “molleggiato” si è scagliato contro i predicatori, facendo lui stesso una predica. Mah.

Celentano non ha risparmiato – non ricordo se prima o dopo le battute da terza elementare sul cognome della Lei – critiche neanche alla Corte Costituzionale, sulla recente vicenda dei referendum non ammessi. Qui la demagogia da bar dello sport ha raggiunto il suo apice, condita da gravi inesattezze di carattere giuridico. La situazione è stata resa ancora più insopportabile dalla gag messa in scena da Celentano con Pupo e lo stesso Morandi, roba che mi ha ricordato le scenette che facevamo ai tempi degli scout, davanti al fuoco di bivacco. Con la differenza che le nostre, di scenette, facevano spesso ridere e che la poliedricità espressiva di noi ragazzini in pantaloni corti era più efficace di quella dimostrata sul palco dell’Ariston.

Il segmento Celentano è stato troppo lungo, brutto, lento. Ieri, altrove, anch’io (come tanti altri) ho ricordato quale fosse il compenso pagato al Nostro per l’indegna messa in scena. Qualcuno, piccato, mi ha voluto ricordare che l’artista ha comunicato che devolverà tutto il suo caché in beneficenza. Ecco, vorrei dire tre cose. La prima è che fino a quando quella promessa non sarà messa in pratica per me rimangono parole gettate al vento; non sarebbe la prima volta che le donazioni rimangono sulla carta dei giornali e non riescono ad arrivare sui conti correnti delle organizzazioni che ne dovevano essere destinatarie. La seconda è che Emergency (cui Celentano ha promesso di devolvere il compenso) non è certo l’ente cui io avrei destinato quella somma (ma, si sa, trattandosi di regali non posso certo permettermi critiche a riguardo). La terza è che, ammesso che quei soldi arrivino davvero ad un’organizzazione benefica, resta il fatto che quei soldi erano i “nostri” e visto che “noi” li avremmo comunque spesi, sarebbe stato giusto aspettarsi uno spettacolo di qualità, in linea con l’entità del compenso.

Il terzo ed ultimo pensiero. La “giuria demoscopica” (“demoscopico” è un aggettivo che, oramai, si usa solo a Sanremo e nelle pubblicazioni dell’Istat) avrebbe dovuto decidere ieri i due cantanti da mandare a casa. Per questo, si sarebbero dovuti avvalere di un sistema di voto elettronico evidentemente molto complesso, troppo complesso, tant’è che già alla seconda canzone è andato in crash. Si mormora che nelle quinte dell’Ariston qualcuno si ostinasse a premere in combinazione Ctrl-Alt-Canc su qualunque tastiera si trovasse a tiro ma non è servito a niente. Così, i potenti mezzi della struttura Rai hanno messo a disposizione dei trecento giurati un foglio di carta (e credo anche una penna, o una matita, non so), sul quale avrebbero dovuto scrivere i loro voti. E più volte si è vista la “giuria demoscopica” mostrare soddisfatta la novità tecnologicamente avanzata del foglio bianco, formato A4. Ma a fine puntata, il coup de théâtre di Morandi: a causa di “problemi tecnici” il sistema di voto è stato annullato, quindi stasera risentiremo tutti i 12 cantanti che si sono già esibiti (più i nuovi), confidando che siano rimpiazzati nel frattempo i criceti che, con buona probabilità, ieri notte avrebbero dovuto alimentare con il loro correre sincopatico i server di mamma Rai. La cosa è successa proprio lo stesso giorno in cui il Governo ha bocciato la candidatura di Roma per le Olimpiadi: ma se non siamo in grado di far votare 300 persone chiuse dentro un teatro, come possiamo organizzare una edizione dei Giochi? Mi sia consentito di essere anch’io un po’ demagogico… E ancora: nel suo pippone, Celentano aveva poco prima sottolineato l’importanza del “voto popolare”, insistendo oltremodo sul concetto di “sovranità”. Qualcuno gliel’ha detto che ieri la sovranità (pur nel piccolo, piccolissimo costituito dal Festival) sarebbe dovuta appartenere al popolo (rappresentato dalla “giuria demoscopica”) ma che quella sovranità è stata sospesa perché un computer è andato in palla?

Pontifex ci illumina sulla vera “lettura” della morte di Whitney Houston

Secondo Pontifex, la morte di Whitney Houston sarebbe la punizione comminatale da Dio per la sua recente conversione all’Islam.

Pontifex sulla morte di Whitney Houston

Carlo Di Pietro scrive, infatti:

Monito di Dio? Chi può dirlo, a noi non è dato conoscere certe dinamiche, anche se la vicenda [della sua morte] e la triste coincidenza [la sua conversione all’Islam] parlano chiaro.

… E che è? La Mafia di Chicago di ottant’anni fa? Mah…

Addio, professor Galgano

Addio, professor GalganoHo appreso solo oggi della scomparsa del giurista Francesco Galgano. Aveva 79 anni.

Ricordo distintamente il suo manuale, sul quale preparai, un’era geologica fa, l’esame di diritto privato, a Gorizia. La chiarezza di quel suo testo mi porta ad essergli riconoscente: spendo oggi, ogni giorno, le nozioni apprese (non senza fatica) su quel voluminoso volume.

Francesco Galgano, avvocato, era professore emerito dell’Alma Mater. Fu consulente giuridico di Fiat e Fininvest, della Commissione per la riforma dello Statuto d’impresa e del Comitato per le privatizzazioni. Ha presieduto la Commissione di studio sulla trasparenza finanziaria ed ha partecipato ai lavori della Commissione per la riforma del diritto societario.

Addio, professor Galgano.

Sulla “Giustizia”

Da stamattina circola in Rete un’immagine assai cruda. &Egrave riferito che ritragga uno stupratore che, dopo essere stato evirato, sarebbe stato abbandonato su un campo, con il suo pene infilato nella bocca.

Ne parlo al condizionale, perché tutto sommato mi auguro che sia un fake.

Ma, indipendentemente dall’autenticità dello scatto, voglio dire a quanti esprimono apprezzamento per chi ha fatto una cosa del genere che non c’è alcuna differenza tra chi abusa di due bambine e chi è capace di fare un così grande scempio di un corpo. Il primo è un malato criminale, e come tale va punito e, se possibile, curato; il secondo è solo un delinquente, la cui condotta riporta la nostra società indietro di secoli.

Voglio dire, ancora, a quanti si improvvisano psichiatri forensi (“Vorrei vedere cosa avresti fatto tu se ti avessero violentato una figlia?”, “Se avesse abusato di tua moglie cosa avresti fatto tu?”) che la situazione di coinvolgimento emotivo è una attenuante ma non può in nessun caso giustificare una condotta tanto crudele, macabra e selvaggia.

Quanti diffondono quella foto in Rete, assieme a quanti la commentano compiaciuti, infine, mi sembrano assai simili a coloro che, in un passato remoto, si adoperavano per accaparrarsi un posto in prima fila nelle esecuzioni pubbliche. E per questo mi provocano disgusto.

Curiosità legislative. Svizzera, Legge federale sulla esecuzione e sul fallimento

Curiosità legislative. Svizzera, Legge federale sulla esecuzione e sul fallimento

Dall’art. 92, comma 1, numero 4 della Legge federale svizzera sull’esecuzione e sul fallimento:

Sono impignorabili:

[omissis]

a scelta del debitore, due vacche da latte, due giovenche, quattro capre o pecore, oltre al bestiame minuto, col foraggio e con la paglia necessari per quattro mesi, quando detti animali siano indispensabili al sostentamento del debitore e della sua famiglia o al mantenimento della sua azienda.